CONCORSO “ARTISTI” PER PEPPINO IMPASTATO NEL QUARTIERE DI TORPIGNATTARA

CONCORSO “ARTISTI” PER PEPPINO IMPASTATO NEL QUARTIERE DI TORPIGNATTARA

LA MANCINI: SCUOLA PLURIPREMIATA IN SICILIA VINCE SUI TEMI DELLA LEGALITA’.

L’Istituto comprensivo di Via Laparelli ha stravinto a Cinisi lo scorso 17 giugno nel 1° Concorso letterario nazionale  “Artisti” per Peppino Impastato”.

L’evento, organizzato dallo scrittore e giornalista Salvatore Lanno, in collaborazione con La piccola Orchestra onlus, si è svolto nella sala civica del comune palermitano, alla presenza delle autorità locali, del Presidente di giuria e giornalista, Michele Cucuzza, e della scrittrice Vittoria De Marco Veneziano. Particolarmente coinvolgente l’intervento di quest’ultima, tutto rivolto alle nuove generazioni, ma anche un elogio alle insegnanti che, con il loro entusiasmo, riescono sempre a trascinare i giovani verso strade di bellezza e conoscenza, con esempi di dedizione gratuita, non accompagnata necessariamente da compensi, e spirito di abnegazione non comuni. Alle classi Quarta A e Prima A del plesso Pietro Mancini dell’ Istituto rispettivamente sono andati il secondo e terzo posto, nella sezione  dedicata alle scuole, con le opere “La Legalità è”  e “Un antidoto per il mondo”. Agli alunni della Quarta, già conosciuti ai lettori di Via Vai per aver raccontato in più occasioni le  numerose attività intraprese nel quartiere sui complessi temi del vivere comune, è andata anche la menzione speciale della critica, con il brano “La scuola, un diritto con le ali”, composta sotto la guida della maestra e musicista Carla Monterosso. A ritirare i riconoscimenti, oltre  a quest’ultima, le maestre, Marisa Madera, con una formazione specifica nell’ambito della Legalità e da anni impegnata in tal senso, l’insegnante Maria Ghidelli a cui si deve gran parte della costanza, e chi vi scrive, nel doppio ruolo di docente e cronista. Il nostro entusiasmo era iniziato da qualche mese prima con l’adesione al concorso. I bambini, benché piccoli, avevano mostrato un interesse particolare di fronte alla proposta di vedere un cartone animato sul giovane Peppino. Il naturale passaggio è stato quello di approfondire e sviluppare ulteriormente i temi toccati nel filmato. Le grandi domande sono partite da loro e in loro hanno trovato le risposte possibili. Successivamente è arrivata la proposta fatta ai bambini di aderire ad un concorso, la cui unica vera ricompensa, oltre a targhe e attestati, sarebbe stata la crescita. Crescita del senso civico e dell’amore per la Giustizia. Una giustizia un po’ più giusta, però, di quella che per anni ha contribuito al depistaggio delle indagini sulla morte di Peppino. Una giustizia un po’ più umana di quella che ha impiegato ventiquattro anni a restituire nelle mani di una madre il documento con la ricostruzione di quei fatti di sangue e mafia avvenuti in seno alla stessa famiglia. Sembrava proprio di vederla ancora Felicia, ormai anziana, sull’uscio di quella che ora è la Casa della Memoria, aperta a pubblico e scolaresche. Secondo le testimonianze che abbiamo raccolto, la madre, anziana e volitiva dell’eroe di Cinisi che fino alla fine ha lottato e preteso verità, apriva la sua casa e vi faceva entrare in particolar modo i giovani invitandoli a studiare e a tenere la schiena dritta, passando loro il messaggio di cultura lasciato da Peppino. La nostra piccola spedizione del tutto autofinanziata e spontanea, “al netto”, dei bambini, essendo purtroppo terminato l’anno scolastico, ha voluto come prima tappa recarsi sui luoghi in cui la storia tragica si è consumata. Ad indicarcela in tanti a Cinisi, forse testimoni diretti di un’epoca non lontana e ancora fortemente sentita.

All’improvviso, sulla strada del centro, una serie  di pietre d’inciampo in ceramica con le frasi più celebri dell’antimafia a scandire i cento passi che intercorrono tra la casa della vittima, Peppino, e quella di colui che fu indentificato come il carnefice mandante dell’esecuzione, Gaetano Badalamenti. “Tu fusti”, lo aveva additato senza alcun timore Felicia, durante il processo in cui si era costituita parte civile. L’Edificio del boss è oggi confiscato e restituito alla collettività.
Avremmo voluto che i nostri bambini, presenti idealmente, avessero potuto essere con noi anche materialmente, durante tutti i momenti vissuti a Cinisi, perché, oltre alla gioia della vittoria, avremmo condiviso una grossa lezione di vita e cioè che l’ingiustizia vissuta, un forte dolore possono sempre essere mutati in un messaggio positivo tramandabile a sua volta. Il malaffare può essere fermato con la condivisione di cultura e bellezza, così come Peppino ci ha insegnato, senza timore e con responsabilità. Lui credeva fermamente nel valore della comunicazione.
Può essere cambiato il sistema, se si sta insieme a tanti. Isolati si muore. Eppure, con la morte ingiusta e deprecabile di un giovane, si sono sublimati i concetti di rettitudine e correttezza che animavano il Martire cinisense. La presenza di Luisa Impastato tra i giurati, nipote diretta di Peppino e figlia del fratello Giovanni, oggi presidente dell’Associazione Casa Memoria Felicia e Peppino Impastato, è stata più eloquente di ogni altro discorso. Senza dubbio avrebbe gratificherebbe e tranquillizzerebbe di più una maggiore risonanza di eventi come questo che valorizzano l’esempio di un così illustre Italiano. Anche per seguitare a nutrire di virtù e continuità la scelta di Peppino, che, attraverso l’esperienza violenta del suo assassinio, ha raggiunto più consensi spontanei di quanto la violenza riesca ad imporre. Coloro che hanno scelto da che parte stare fanno grandi opere di bene al mondo e ogni giorno rinnovano la loro adesione alla regola . Ci piace pensare che, se Peppino avesse potuto continuare a vivere, avrebbe compiuto tante altre azioni degne di nota. Forse avrebbe continuato senza timore a parlare dai microfoni della sua radio Aut; è probabile che avrebbe preso dei premi prestigiosi dedicati alla lotta al crimine o addirittura li avrebbe lui stesso elargiti ad altri, con la convinzione che i premi sono riconoscimento al merito. Magari avrebbe gridato a gran voce che, se e quando arrivano, sono un onore per chi li riceve direttamente, ma anche un prestigio per la comunità intera a cui i premiati appartengono. Non per il mero trofeo, ma per il significato più alto che recano. E vanno posti sotto l’attenzione di tutti, affinché possano svolgere la loro funzione di indirizzo al bene nella società. Questo concetto non è sempre scontato e chi fa il passo avanti per mettersi a disposizione della verità e degli altri va sostenuto, non lasciato solo. Mai o mai più.

                                                                                                       Nunzia Masci

PAOLO BORSELLINO, 25 ANNI DOPO LA STRAGE DI VIA D’AMELIO

PAOLO BORSELLINO, 25 ANNI DOPO LA STRAGE DI VIA D’AMELIO

 

“Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”.
 

Paolo Borsellino sapeva delle conseguenze e dei rischi del suo lavoro, del suo operato, nel modo e nel luogo dove lo faceva. Consapevole di trovarsi in estremo pericolo, aveva scelto di andare avanti avvertendo queste parole: “È bello morire per ciò in cui si crede; chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”. Credeva e sopravviveva per la sua causa, e cercava di farlo capire anche alla gente.

In un discorso ai cittadini siciliani, Paolo si pronunciò così: “La lotta alla mafia, il primo problema da risolvere nella nostra terra bellissima e disgraziata, non dove essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale che coinvolge tutti e specialmente le giovani generazioni, le più adatte a sentire subito la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale, dell’ indifferenza, della contiguità e quindi della complicità”. Nel 1963 Borsellino partecipò al concorso per entrare in magistratura; classificatosi venticinquesimo sui 171 posti messi a bando, con il voto di 57, divenne il più giovane magistrato d’Italia.

Iniziò quindi il tirocinio come uditore giudiziario e lo terminò il 14 settembre 1965 quando venne assegnato al tribunale di Enna nella sezione civile. Nel 1967 fu nominato pretore a Mazara del Vallo. borsellino-1Nel 1969 fu pretore a Monreale, dove lavorò insieme ad Emanuele Basile, capitano dei carabinieri. Il 21 marzo 1975 fu trasferito a Palermo ed il 14 luglio entrò nell’ufficio istruzione affari penali sotto la guida di Rocco Chinnici. Nel febbraio 1980  Borsellino fece arrestare i primi sei mafiosi tra cui Giulio Di Carlo e Andrea Di Carlo legati a Leoluca Bagarella. Grazie all’indagine condotta da Basile e Borsellino sugli appalti truccati a Palermo a favore degli esponenti di Cosa Nostra si scopre il fidanzamento tra Leoluca Bagarella e Vincenza Marchese sorella di Antonino Marchese, altro importante Boss. Il 4 maggio 1980 Emanuele Basile fu assassinato e fu decisa l’assegnazione di una scorta alla famiglia Borsellino.

Il 29 luglio 1983 fu ucciso Rocco Chinnici, con l’esplosione di un’ autobomba. Il pool chiese una mobilitazione generale contro la mafia. Nel 1984 fu arrestato Vito Ciancimino, mentre Tommaso Buscetta, catturato a San Paolo ed estradato in Italia, iniziò a collaborare con la giustizia. Borsellino chiese ed ottenne (il 19 dicembre 1986) di essere nominato Procuratore della Repubblica di Marsala. Con Falcone a Roma, Borsellino chiese il trasferimento alla Procura di Palermo e l’11 dicembre 1991 vi ritornò come Procuratore aggiunto, insieme al sostituto Antonio Ingroia.

Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla sua scorta in via D’Amelio, dove viveva sua madre. Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell’abitazione della madre con circa 100 kg di esplosivo a bordo detonò al passaggio del giudice, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.  

Borsellino andò incontro alla morte con una serenità e una lucidità incredibile.

Salvatore Lanno